La mano leggera sul Cima

La mano leggera sul Cima

30 novembre 2023. Il pomeriggio è grigio, pioviggina. I soci arrivano alla spicciolata riunendosi sotto al portico del duomo di Conegliano. Entriamo a piccoli gruppi dal portale sempre aperto e percorriamo silenziosamente le navate in penombra, attirati dalla luce che, da dietro l’altar maggiore, illumina la pala di Gianbattista Cima da Conegliano. Dall’alto ci guardano la Madonna in trono con il bambin Gesù e una teoria di Santi, mentre noi ci disponiamo a semicerchio per ammirarli dal basso e ascoltare il racconto di Renza Garla, che nel 2009, con mano precisa e leggera, ha restaurato per l’ultima volta la pala del Cima.
Ci racconta che il primo restauro lo fece addirittura il figlio del grande pittore, perché solo pochi anni dopo essere stata ultimata, nel 1493, l’umidità aveva già causato seri danni all’opera. Da allora i restauri documentati sono stati molti e quello che ci viene raccontato oggi è il decimo.
Le opere d’arte sono vive, si modificano, si sporcano, il legno delle pale si deforma e i tarli lo attaccano, i minerali usati per i colori si trasformano e i colori cambiano, la pittura forma delle bolle d’aria…in quest’incubo del tempo che scorre per fortuna ci sono i restauratori, che sono grandi conoscitori di storia dell’arte, chimici, ricercatori e po’ acrobati. La passione con cui la professoressa Garla ci racconta del suo lavoro ci rapisce, perché con le parole riporta in vita i colori, gli sguardi, i gesti dei santi che Cima da Conegliano ha dipinto più di cinque secoli fa. Notiamo la grazia delle dita di una mano, le frange di un tappeto, l’azzurro tendente al verde di alcune porzioni di cielo.
Scopriamo che la pala davanti ai nostri occhi è purtroppo un pallido riflesso di com’era in origine, poiché un precedente restauro, compiuto alcuni decenni fa, ha strappato in modo incauto l’opera dal supporto originale, oggi visibile prima di accedere alla sala dei Battuti.
Grazie invece all’ultimo restauro sono stati riportati alla luce particolari che non erano più visibili, come le decorazioni del libro tenuto in mano da San Pietro, o il dente nella tenaglia retta da Santa Apollonia, che da canino era diventato un molare.
Il tempo scorre veloce, non solo per le opera d’arte, ma anche per noi, che con curiosità chiediamo di conoscere i particolari di una veste, i nomi dei colori di cui non conoscevamo nemmeno l’esistenza e da cui ora siamo affascinati. Siamo riuniti da più di un’ora davanti ad un’opera che ora vediamo con occhi diversi, perché alleggerita della patina del tempo e riportata pazientemente alla luce.
“Quando finisce un restauro?” chiede qualcuno. “Quando finisce il tempo” risponde “perché se fosse per me troverei sempre qualcosa da pulire”. Anche il nostro tempo è finito, ci allontaniamo un po’ infreddoliti, ma il nostro sguardo è più luminoso e la curiosità è ancora tanta. Per fortuna, proprio vicino al duomo, c’è una calda pasticceria dove possiamo continuare a parlare.

 

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