Trovare la serenità nel giardino bonsai

Trovare la serenità nel giardino bonsai

Questo è il racconto di un viaggio durato un paio d’ore, giusto il tempo di godere dell’unico pomeriggio di sole tra tanti di pioggia, ma anche di un tempo che sembra molto più lungo e sospeso. È il racconto di un giardino a cui si accede da una scala, e da una porta, strette. È il racconto di un angolo di filosofia orientale che guarda in faccia ogni giorno il campanile di Tarzo e ascolta le grida e i giochi dei bambini dell’asilo lì accanto.
Ci accolgono Armando e Haina, gentili e indaffarati. La prima impressione è straniante… come è stato possibile realizzare in così poco spazio una tale meraviglia? Sembra che sia stato applicato, per necessità, lo stesso principio con cui è coltivato il bonsai, ovvero la riproduzione della natura in poco spazio con grande perizia e orientale pazienza. Armando racconta, Haina pulisce le piante passando le dita leggere tra i rami dei bonsai, alcuni dei quali sembrano spazzati dal vento per come sono stati lavorati nel corso degli anni.

Ascoltiamo rapite le parole di Armando, che ci portano lontano non solo per i mondi che descrivono, ma anche per l’uso del passato remoto, così inconsueto nella parlata veneta. Inizia raccontando di come la passione sia nata da giovane, in montagna, da una pigna, che gli ha fatto immaginare l’albero. Ha iniziato a coltivare da seme ed ha affinato la tecnica imparando ad ascoltare le piante. Ben pochi in Italia sapevano, nei primi anni Sessanta, cos’era un bonsai, che secondo alcuni era un’arte marziale. Erano così pochi questi pionieri in Italia che un po’ alla volta si conobbero tutti, una manciata di appassionati che diede vita alla prima associazione italiana bonsai.

Armando racconta di come un magnifico faggio ultracentenario, riportato letteralmente alla vita, lo abbia portato fino Giappone. Lì Armando è stato ritenuto meritevole di visitare il giardino dei bonsai dell’imperatore Hiroito, il quale ha poi voluto donare un vaso che fosse degno del faggio italiano, che ora vi cresce sereno. Anzi: “Eccellente! Illuminato!” secondo il giudizio dei maestri giapponesi.
Passano gli anni, così come le piante nei vasi sfilano davanti a noi: querce, larici, abeti, betulle, carpini… un’intera foresta di matusalemme alti al massimo mezzo metro.
È la passione coltivata da una vita, di ogni pianta Armando ricorda da dove è arrivata, quando è stato piantato il seme, come è arrivato a pensare di dare quella particolare forma ai rami. C’è un tocco di ironia in molti nomi dei bonsai coltivati, ma non diremo di più.
Mentre la passeggiata continua, i nostri occhi si abituano ad osservare con più attenzione i particolari: le api sui fiori del biancospino, la tela di un ragno tra un ramo e l’altro, gli ultimi semi che cadono dall’alto da un albero, questo sì di una grandezza naturale. Stupisce pensare che tanta grazia sia il risultato di una costrizione a cui la pianta è forzata fin dalla nascita.
Armando è paziente, ringrazia per la visita, ma ha in serbo un’ultima chicca, uno dei più piccoli bonsai del giardino. È un fico di tre anni coltivato dentro un vaso grande quanto un ditale!
Comunque il racconto non termina qui, continua davanti ad un caffè con pasticcini e le chiacchiere di un gruppo di signore con origini ai quattro angoli della terra che si sono conosciute proprio questo pomeriggio, nel giardino della serenità.

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